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mercoledì 31 dicembre 2014

IL DISCORSO DEL LIRICO
Milano: 16 Dicembre 1944 Teatro Lirico

Il discorso della riscossa è l'ultimo discorso e apparizione pubblica di Benito Mussolini, in qualità di capo del governo della Repubblica Sociale Italiana.
Quando Mussolini fece il discorso l'offensiva alleata era ferma sulla Linea Gotica lungo l'Appennino tosco-emiliano da metà novembre in seguito all'ordine del generale britannico Harold Alexander di sospendere le operazioni sul fronte che si trovava quindi a 300 km dalla città.
Mussolini arrivò da Salò al Lirico alle 11 e non teneva un discorso pubblico da poco prima della caduta del fascismo il 25 luglio 1943. Accorsero per vederlo 3.000 o 4.000 persone ed erano presenti al Lirico i gerarchi Alessandro Pavolini, Guido Buffarini Guidi, Renato Ricci, Francesco Maria Barracu e Rodolfo Graziani. Venne declamato il 16 dicembre 1944 al Teatro Lirico di Milano dato che il Teatro alla Scala era stato distrutto dai bombardamenti alleati nel 1943.
Scrivero' inclinate le parole di Mussolini ascoltabili nel video.
Camerati, cari camerati milanesi!
Rinuncio ad ogni preambolo ed entro subito nel vivo della materia del mio discorso.
A sedici mesi di distanza dalla tremenda data della resa a discrezione imposta ed accettata secondo la democratica e criminale formula di Casablanca, la valutazione degli avvenimenti ci pone, ancora una volta, questa domanda: Chi ha tradito? Chi ha subito e subisce le conseguenze del tradimento?
Non si tratta, intendiamoci bene, di un giudizio in sede di revisione storica, e, meno che mai, in qualsiasi guisa, giustificativa.
È stato tentato da qualche foglio neutrale, ma noi lo respingiamo nella maniera più categorica e per la sostanza e in secondo luogo per la stessa fonte dalla quale proviene. Dunque chi ha tradito? La resa a discrezione annunciata l'8 settembre è stata voluta dalla monarchia, dai circoli di corte, dalle correnti plutocratiche della borghesia italiana, da talune forze clericali, congiunte per l'occasione a quelle massoniche, dagli Stati Maggiori, che non credevano più alla vittoria e facevano capo a Badoglio. Sino dal maggio, e precisamente il 15 maggio, l'ex-re nota in un suo diario, venuto recentemente in nostro possesso, che bisogna ormai «sganciarsi» dall'alleanza con la Germania. Ordinatore della resa, senza l'ombra di un dubbio, l'ex-re; esecutore Badoglio. Ma per arrivare all'8 settembre, bisognava effettuare il 25 luglio, cioè realizzare il colpo di Stato e il trapasso di regime.
La giustificazione della resa, e cioè la impossibilità di più oltre continuare la guerra, veniva smentita quaranta giorni dopo, il 13 ottobre, con la dichiarazione di guerra alla Germania, dichiarazione non soltanto simbolica, perché da allora comincia una collaborazione, sia pure di retrovie e di lavoro, fra l'Italia badogliana e gli Alleati; mentre la flotta, costruita tutta dal fascismo, passata al completo al nemico, operava immediatamente con le flotte nemiche. Non pace, dunque, ma, attraverso la cosiddetta cobelligeranza, prosecuzione della guerra; non pace, ma il territorio tutto della nazione convertito in un immenso campo di battaglia, il che significa in un immenso campo di rovine; non pace, ma prevista partecipazione di navi e truppe italiane alla guerra contro il Giappone.
Ne consegue che chi ha subito le conseguenze del tradimento è soprattutto il popolo italiano. Si può affermare che nei confronti dell'alleato germanico il popolo italiano non ha tradito.
Salvo casi sporadici, i reparti dell'Esercito si sciolsero senza fare alcuna resistenza di fronte all'ordine di disarmo impartito dai comandi tedeschi. Molti reparti dello stesso Esercito, dislocati fuori del territorio metropolitano, e dell'Aviazione, si schierarono immediatamente a lato delle forze tedesche, e si tratta di decine di migliaia di uomini; tutte le formazioni della Milizia, meno un battaglione in Corsica, passarono sino all'ultimo uomo coi tedeschi.
Il piano cosiddetto «P. 44», del quale si parlerà nell'imminente processo dei generali e che prevedeva l'immediato rovesciamento del fronte come il re e Badoglio avevano preordinato, non trovò alcuna applicazione da parte dei comandanti e ciò è provato dal processo che nell'Italia di Bonomi viene intentato a un gruppo di generali che agli ordini contenuti in tale piano non obbedirono. Lo stesso fecero i comandanti delle Armate schierate oltre frontiera.
Tuttavia, se tali comandanti evitarono il peggio, cioè l'estrema infamia, che sarebbe consistita nell'attaccare a tergo gli alleati di tre anni, la loro condotta dal punto di vista nazionale è stata nefasta. Essi dovevano, ascoltando la voce della coscienza e dell'onore, schierarsi armi e bagaglio dalla parte dell'alleato: avrebbero mantenuto le nostre posizioni territoriali e politiche; la nostra bandiera non sarebbe stata ammainata in terre dove tanto sangue italiano era stato sparso; le Armate avrebbero conservato la loro organica costituzione; si sarebbe evitato l'internamento coatto di centinaia di migliaia di soldati e le loro grandi sofferenze di natura soprattutto morale; non si sarebbe imposto all'alleato un sovraccarico di nuovi, impreveduti compiti militari, con conseguenze che influenzavano tutta la condotta strategica della guerra. Queste sono responsabilità specifiche nei confronti, soprattutto, del popolo italiano.
Si deve tuttavia riconoscere che i tradimenti dell'estate 1944 ebbero aspetti ancora più obbrobriosi, poiché romeni, bulgari e finnici, dopo avere anch'essi ignominiosamente capitolato, e uno di essi, il bulgaro, senza avere sparato un solo colpo di fucile, hanno nelle ventiquattro ore rovesciato il fronte ed hanno attaccato con tutte le forze mobilitate le unità tedesche, rendendone difficile e sanguinosa la ritirata.
Qui il tradimento è stato perfezionato nella più ripugnante significazione del termine. Il popolo italiano è, quindi, quello che, nel confronto, ha tradito in misura minore e sofferto in misura che non esito a dire sovrumana. Non basta. Bisogna aggiungere che mentre una parte del popolo italiano ha accettato, per incoscienza o stanchezza, la resa, un'altra parte si è immediatamente schierata a fianco della Germania.
Sarà tempo di dire agli italiani, ai camerati tedeschi e ai camerati giapponesi che l'apporto dato dall'Italia repubblicana alla causa comune dal settembre del 1943 in poi, malgrado la temporanea riduzione del territorio della Repubblica, è di gran lunga superiore a quanto comunemente si crede.
Non posso, per evidenti ragioni, scendere a dettagliare le cifre nelle quali si compendia l'apporto complessivo, dal settore economico a quello militare, dato dall'Italia. La nostra collaborazione col Reich in soldati e operai è rappresentata da questo numero: si tratta, alla data del 30 settembre, di ben settecentottantaseimila uomini. Tale dato è incontrovertibile perché di fonte germanica. Bisogna aggiungervi gli ex-internati militari: cioè parecchie centinaia di migliaia di uomini immessi nel processo produttivo tedesco, e molte altre decine di migliaia di italiani che già erano nel Reich, ove andarono negli anni scorsi dall'Italia come liberi lavoratori nelle officine e nei campi. Davanti a questa documentazione, gli italiani che vivono nel territorio della Repubblica Sociale hanno il diritto, finalmente, di alzare la fronte e di esigere che il loro sforzo sia equamente e cameratescamente valutato da tutti i componenti del Tripartito.
Sono di ieri le dichiarazioni di Eden sulle perdite che la Gran Bretagna ha subito per difendere la Grecia. Durante tre anni l'Italia ha inflitto colpi severissimi agli inglesi ed ha, a sua volta, sopportato sacrifici imponenti di beni e di sangue. Non basta. Nel 1945 la partecipazione dell'Italia alla guerra avrà maggiori sviluppi, attraverso il progressivo rafforzamento delle nostre organizzazioni militari, affidate alla sicura fede e alla provata esperienza di quel prode soldato che risponde al nome del maresciallo d'Italia Rodolfo Graziani.
Nel periodo tumultuoso di transizione dell'autunno e inverno 1943 sorsero complessi militari più o meno autonomi attorno a uomini che seppero, col loro passato e il loro fascino di animatori, raccogliere i primi nuclei di combattenti. Ci furono gli arruolamenti a carattere individuale. Arruolamenti di battaglioni, di reggimenti, di specialità Erano i vecchi comandanti che suonavano la diana. E fu ottima iniziativa, soprattutto morale. Ma la guerra moderna impone l'unità. Verso l'unità si cammina. Oso credere che gli italiani di qualsiasi opinione saranno felici il giorno in cui tutte le Forze Armate della Repubblica saranno raccolte in un solo organismo e ci sarà una sola Polizia, l'uno e l'altra con articolazioni secondo le funzioni, entrambi intimamente viventi nel clima e nello spirito del fascismo e della Repubblica, poiché in una guerra come l'attuale, che ha assunto un carattere di guerra «politica», la politicità è una parola vuota di senso ed in ogni caso superata.
Un conto è la «politica», cioè l'adesione convinta e fanatica all'idea per cui si scende in campo, e un conto è un'attività politica, che il soldato ligio al suo dovere e alla consegna non ha nemmeno il tempo di esplicare, poiché la sua politica deve essere la preparazione al combattimento e l'esempio ai suoi gregari in ogni evento di pace e di guerra.
Il giorno 15 settembre il Partito Nazionale Fascista diventava il Partito Fascista Repubblicano. Non mancarono allora elementi malati di opportunismo o forse in stato di confusione mentale, che si domandarono se non sarebbe stato più furbesco eliminare la parola «fascismo», per mettere esclusivamente l'accento sulla parola «Repubblica». Respinsi allora, come respingerei oggi, questo suggerimento inutile e vile.
Sarebbe stato errore e viltà ammainare la nostra bandiera, consacrata da tanto sangue, e fare passare quasi di contrabbando quelle idee che costituiscono oggi la parola d'ordine nella battaglia dei continenti. Trattandosi di un espediente, ne avrebbe avuto i tratti e ci avrebbe squalificato di fronte agli avversari e soprattutto di fronte a noi stessi.,br> Chiamandoci ancora e sempre fascisti, e consacrandoci alla causa del fascismo, come dal 1919 ad oggi abbiamo fatto e continueremo anche domani a fare, abbiamo dopo gli avvenimenti impresso un nuovo indirizzo all'azione e nel campo particolarmente politico e in quello sociale. Veramente più che di un nuovo indirizzo, bisognerebbe con maggiore esattezza dire: ritorno alle posizioni originarie. È documentato nella storia che il fascismo fu sino al 1927 tendenzialmente repubblicano e sono stati illustrati i motivi per cui l'insurrezione del 1922 risparmiò la monarchia.
Dal punto di vista sociale, il programma del fascismo repubblicano non è che la logica continuazione del programma del 1919: delle realizzazioni degli anni splendidi che vanno dalla Carta del lavoro alla conquista dell'impero. La natura non fa dei salti, e nemmeno l'economia. Bisognava porre le basi con le leggi sindacali e gli organismi corporativi per compiere il passo, ulteriore della socializzazione. Sin dalla prima seduta del Consiglio dei ministri del 27 settembre 1943 veniva da me dichiarato che «la Repubblica sarebbe stata unitaria nel campo politico e decentrata in quello amministrativo e che avrebbe avuto un pronunciatissimo contenuto sociale, tale da risolvere la questione sociale almeno nei suoi aspetti più stridenti, tale cioè da stabilire il posto, la funzione, la responsabilità del lavoro in una società nazionale veramente moderna».
In quella stessa seduta, io compii il primo gesto teso a realizzare la più vasta possibile concordia nazionale, annunciando che il Governo escludeva misure di rigore contro gli elementi dell'antifascismo.
Nel mese di ottobre fu da me elaborato e riveduto quello che nella storia politica italiana è il «manifesto di Verona», che fissava in alcuni punti abbastanza determinati il programma non tanto del Partito, quanto della Repubblica. Ciò accadeva esattamente il 15 novembre, due mesi dopo la ricostituzione del Partito Fascista Repubblicano.
Il manifesto dell'assemblea nazionale del Partito Fascista Repubblicano, dopo un saluto ai caduti per la causa fascista e riaffermando come esigenza suprema la continuazione della lotta a fianco delle potenze del Tripartito e la ricostituzione delle Forze Armate, fissava i suoi diciotto punti programmatici.
Vediamo ora ciò che è stato fatto, ciò che non è stato fatto e soprattutto perché non è stato fatto. Il manifesto cominciava con l'esigere la convocazione della Costituente e ne fissava anche la composizione, in modo che, come si disse, «la Costituente fosse la sintesi di tutti i valori della nazione».
Ora la Costituente non è stata convocata. Questo postulato non è stato sin qui realizzato e si può dire che sarà realizzato soltanto a guerra conclusa. Vi dico con la massima schiettezza che ho trovato superfluo convocare una Costituente quando il territorio della Repubblica, dato lo sviluppo delle operazioni militari, non poteva in alcun modo considerarsi definitivo. Mi sembrava prematuro creare un vero e proprio Stato di diritto nella pienezza di tutti i suoi istituti, quando non c'erano Forze Armate che lo sostenessero. Uno Stato che non dispone di Forze Armate è tutto, fuorché uno Stato. Fu detto nel manifesto che nessun cittadino può essere trattenuto oltre i sette giorni senza un ordine dell'Autorità giudiziaria. Ciò non è sempre accaduto. Le ragioni sono da ricercarsi nella pluralità degli organi di Polizia nostri e alleati e nell'azione dei fuori legge, che hanno fatto scivolare questi problemi sul piano della guerra civile a base di rappresaglie e contro-rappresaglie. Su taluni episodi si è scatenata la speculazione dell'antifascismo, calcando le tinte e facendo le solite generalizzazioni. Debbo dichiarare nel modo più esplicito che taluni metodi mi ripugnano profondamente, anche se episodici. Lo Stato, in quanto tale, non può adottare metodi che lo degradano. Da secoli si parla della legge del taglione. Ebbene, è una legge, non un arbitrio più o meno personale.
Mazzini, l'inflessibile apostolo dell'idea repubblicana, mandò agli albori della Repubblica romana nel 1849 un commissario ad Ancona per insegnare ai giacobini che era lecito combattere i papalini, ma non ucciderli extra-legge, o prelevare, come si direbbe oggi, le argenterie dalle loro case. Chiunque lo faccia, specie se per avventura avesse la tessera del Partito, merita doppia condanna.
Nessuna severità è in tal caso eccessiva, se si vuole che il Partito, come si legge nel «manifesto di Verona», sia veramente «un ordine di combattenti e di credenti, un organismo di assoluta purezza politica, degno di essere il custode dell'idea rivoluzionaria».
Alta personificazione di questo tipo di fascista fu il camerata Resega, che ricordo oggi e ricordiamo tutti con profonda emozione, nel primo anniversario della sua fine, dovuta a mano nemica.
Poiché attraverso la costituzione delle brigate nere il Partito sta diventando un «ordine di combattenti», il postulato di Verona ha il carattere di un impegno dogmatico e sacro. Nello stesso articolo 5, stabilendo che per nessun impiego o incarico viene richiesta la tessera del Partito, si dava soluzione al problema che chiamerò di collaborazione di altri elementi sul piano della Repubblica. Nel mio telegramma in data 10 marzo XXII ai capi delle provincie, tale formula veniva ripresa e meglio precisata. Con ciò ogni discussione sul problema della pluralità dei partiti appare del tutto inattuale.
In sede storica, nelle varie forme in cui la Repubblica come istituto politico trova presso i differenti popoli la sua estrinsecazione, vi sono molte repubbliche di tipo totalitario, quindi con un solo partito. Non citerò la più totalitaria di esse, quella dei sovieti, ma ricorderò una che gode le simpatie dei sommi bonzi del vangelo democratico: la Repubblica turca, che poggia su un solo partito, quello del popolo, e su una sola organizzazione giovanile, quella dei «focolari del popolo». A un dato momento della evoluzione storica italiana può essere feconda di risultati, accanto al Partito unico e cioè responsabile della direzione globale dello Stato, la presenza di altri gruppi, che, come dice all'articolo tre il «manifesto di Verona», esercitino il diritto di controllo e di responsabile critica sugli atti della pubblica amministrazione. Gruppi che, partendo dall'accettazione leale, integrale e senza riserve del trinomio Italia, Repubblica, socializzazione, abbiano la responsabilità di esaminare i provvedimenti del Governo e degli enti locali, di controllare i metodi di applicazione dei provvedimenti stessi e le persone che sono investite di cariche pubbliche e che devono rispondere al cittadino, nella sua qualità di soldato-lavoratore contribuente, del loro operato.
L'assemblea di Verona fissava al numero otto i suoi postulati di politica estera. Veniva solennemente dichiarato che il fine essenziale della politica estera della Repubblica è «l'unità, l'indipendenza, l'integrità territoriale della patria nei termini marittimi e alpini segnati dalla natura, dal sacrificio di sangue e dalla storia».
Quanto all'unità territoriale, io mi rifiuto, conoscendo la Sicilia e i fratelli siciliani, di prendere sul serio i cosiddetti conati separatistici di spregevoli mercenari del nemico. Può darsi che questo separatismo abbia un altro motivo: che i fratelli siciliani vogliano separarsi dall'Italia di Bonomi per ricongiungersi con l'Italia repubblicana.
È mia profonda convinzione che, al di là di tutte le lotte e liquidato il criminoso fenomeno dei fuorilegge, l'unità morale degli italiani di domani sarà infinitamente più forte di quella di ieri, perché cementata da eccezionali sofferenze, che non hanno risparmiato una sola famiglia. E quando attraverso l'unità morale l'anima di un popolo è salva, è salva anche la sua integrità territoriale e la sua indipendenza politica.
A questo punto occorre dire una parola sull'Europa e relativo concetto. Non mi attardo a domandarmi che cosa è questa Europa, dove comincia e dove finisce dal punto di vista geografico, storico, morale, economico; né mi chiedo se oggi un tentativo di unificazione abbia migliore successo dei precedenti. Ciò mi porterebbe troppo lontano. Mi limito a dire che la costituzione di una comunità europea è auspicabile e forse anche possibile, ma tengo a dichiarare in forma esplicita che noi non ci sentiamo italiani in quanto europei, ma ci sentiamo europei in quanto italiani. La distinzione non è sottile, ma fondamentale. Come la nazione è la risultante di milioni di famiglie che hanno una fisionomia propria, anche se posseggono il comune denominatore nazionale, così nella comunità europea ogni nazione dovrebbe entrare come un'entità ben definita, onde evitare che la comunità stessa naufraghi nell'internazionalismo di marca socialista o vegeti nel generico ed equivoco cosmopolitismo di marca giudaica e massonica.
Mentre taluni punti del programma di Verona sono stati scavalcati dalla successione degli eventi militari, realizzazioni più concrete sono state attuate nel campo economico-sociale. Qui la innovazione ha aspetti radicali. I punti undici, dodici e tredici sono fondamentali. Precisati nella «premessa alla nuova struttura economica della nazione», essi hanno trovato nella legge sulla socializzazione la loro pratica applicazione. L'interesse suscitato nel mondo è stato veramente grande e oggi, dovunque, anche nell'Italia dominata e torturata dagli anglo-americani, ogni programma politico contiene il postulato della socializzazione.
Gli operai, dapprima alquanto scettici, ne hanno poi compreso l'importanza. La sua effettiva realizzazione è in corso. Il ritmo di ciò sarebbe stato più rapido in altri tempi. Ma il seme è gettato. Qualunque cosa accada, questo seme è destinato a germogliare. È il principio che inaugura quello che otto anni or sono, qui a Milano, di fronte a cinquecentomila persone acclamanti, vaticinai «secolo del lavoro», nel quale il lavoratore esce dalla condizione economico-morale di salariato per assumere quella di produttore, direttamente interessato agli sviluppi dell'economia e al benessere della nazione. La socializzazione fascista è la soluzione logica e razionale che evita da un lato la burocratizzazione dell'economia attraverso il totalitarismo di Stato e supera l'individualismo dell'economia liberale, che fu un efficace strumento di progresso agli esordi dell'economia capitalistica, ma oggi è da considerarsi non più in fase con le nuove esigenze di carattere «sociale» delle comunità nazionali.
Attraverso la socializzazione i migliori elementi tratti dalle categorie lavoratrici faranno le loro prove. Io sono deciso a proseguire in questa direzione.
Due settori ho affidato alle categorie operaie: quello delle amministrazioni locali e quello alimentare. Tali settori, importantissimi specie nelle circostanze attuali, sono ormai completamente nelle mani degli operai. Essi devono mostrare, e spero mostreranno, la loro preparazione specifica e la loro coscienza civica.
Come vedete, qualche cosa si è fatto durante questi dodici mesi, in mezzo a difficoltà incredibili e crescenti, dovute alle circostanze obiettive della guerra e alla opposizione sorda degli elementi venduti al nemico e all'abulia morale che gli avvenimenti hanno provocato in molti strati del popolo.
In questi ultimissimi tempi la situazione è migliorata. Gli attendisti, coloro cioè che aspettavano gli anglo-americani, sono in diminuzione. Ciò che accade nell'Italia di Bonomi li ha delusi. Tutto ciò che gli anglo-americani promisero, si è appalesato un miserabile espediente propagandistico.
Credo di essere nel vero se affermo che le popolazioni della valle del Po non solo non desiderano, ma deprecano l'arrivo degli anglosassoni, e non vogliono saperne di un governo, che, pur avendo alla vicepresidenza un Togliatti, riporterebbe a nord le forze reazionarie, plutocratiche e dinastiche, queste ultime oramai palesemente protette dall'Inghilterra. Quanto ridicoli quei repubblicani che non vogliono la Repubblica perché proclamata da Mussolini e potrebbero soggiacere alla monarchia voluta da Churchill. Il che dimostra in maniera irrefutabile che la monarchia dei Savoia serve la politica della Gran Bretagna, non quella dell'Italia!
Non c'è dubbio che la caduta di Roma è una data culminante nella storia della guerra. II generale Alexander stesso ha dichiarato che era necessaria alla vigilia dello sbarco in Francia una vittoria che fosse legata ad un grande nome, e non vi è nome più grande e universale di Roma; che fosse creata, quindi, una incoraggiante atmosfera.
Difatti, gli anglo-americani entrano in Roma il 5 giugno; all'indomani, 6, i primi reparti alleati sbarcano sulla costa di Normandia, tra i fiumi Vire e Orne. I mesi successivi sono stati veramente duri, su tutti i fronti dove i soldati del Reich erano e sono impegnati.
La Germania ha chiamato in linea tutte le riserve umane, con la mobilitazione totale affidata a Goebbels, e con la creazione della «Volkssturm». Solo un popolo come il germanico, schierato unanime attorno al Führer, poteva reggere a tale enorme pressione; solo un Esercito come quello nazionalsocialista poteva rapidamente superare la crisi del 20 luglio e continuare a battersi ai quattro punti cardinali con eccezionale tenacia e valore, secondo le stesse testimonianze del nemico. Vi è stato un periodo in cui la conquista di Parigi e Bruxelles, la resa a discrezione della Romania, della Finlandia, della Bulgaria hanno dato motivo a un movimento euforico tale che, secondo corrispondenze giornalistiche, si riteneva che il prossimo Natale la guerra sarebbe stata praticamente finita, con l'entrata trionfale degli Alleati a Berlino.
Nel periodo di tale euforia venivano svalutate e dileggiate le nuove armi tedesche, impropriamente chiamate «segrete». Molti hanno creduto che grazie all'impiego di tali armi, a un certo punto, premendo un bottone, la guerra sarebbe finita di colpo. Questo miracolismo è ingenuo quando non sia doloso. Non si tratta di armi segrete, ma di «armi nuove», che, è lapalissiano il dirlo, sono segrete sino a quando non vengono impiegate in combattimento. Che tali armi esistano, lo sanno per amara constatazione gli inglesi; che le prime saranno seguite da altre, lo posso con cognizione di causa affermare; che esse siano tali da ristabilire l'equilibrio e successivamente la ripresa della iniziativa in mani germaniche, è nel limite delle umane previsioni quasi sicuro e anche non lontano.
Niente di più comprensibile delle impazienze, dopo cinque anni di guerra, ma si tratta di ordigni nei quali scienza, tecnica, esperienza, addestramento di singoli e di reparti devono procedere di conserva. Certo è che la serie delle sorprese non è finita; e che migliaia di scienziati germanici lavorano giorno e notte per aumentare il potenziale bellico della Germania.
Nel frattempo la resistenza tedesca diventa sempre più forte e molte illusioni coltivate dalla propaganda nemica sono cadute. Nessuna incrinatura nel morale del popolo tedesco, pienamente consapevole che è in gioco la sua esistenza fisica e il suo futuro come razza; nessun accenno di rivolta e nemmeno di agitazione fra i milioni e milioni di lavoratori stranieri, malgrado gli insistenti appelli e proclami del generalissimo americano. E indice eloquentissimo dello spirito della nazione è la percentuale dei volontari dell'ultima leva, che raggiunge la quasi totalità della classe. La Germania è in grado di resistere e di determinare il fallimento dei piani nemici.
Minimizzare la perdita di territori, conquistati e tenuti a prezzo di sangue, non è una tattica intelligente, ma lo scopo della guerra non è la conquista o la conservazione dei territori, bensì la distruzione delle forze nemiche, cioè la resa e quindi la cessazione delle ostilità.
Ora le Forze Armate tedesche non solo non sono distrutte, ma sono in una fase di crescente sviluppo e potenza. Se si prende in esame la situazione dal punto di vista politico, sono maturati, in questo ultimo periodo del 1944, eventi e stati d'animo interessanti.
Pur non esagerando, si può osservare che la situazione politica non è oggi favorevole agli Alleati. Prima di tutto in America, come in Inghilterra, vi sono correnti contrarie alla richiesta di resa a discrezione. La formula di Casablanca significa la morte di milioni di giovani, poiché prolunga indefinitamente la guerra; popoli come il tedesco e il giapponese non si consegneranno mai mani e piedi legati al nemico, il quale non nasconde i suoi piani di totale annientamento dei paesi del Tripartito.
Ecco perché Churchill ha dovuto sottoporre a doccia fredda i suoi connazionali surriscaldati e prorogare la fine del conflitto all'estate del 1945 per l'Europa e al 1947 per il Giappone. Un giorno un ambasciatore sovietico a Roma, Potemkin, mi disse: «La prima guerra mondiale bolscevizzò la Russia, la seconda bolscevizzerà l'Europa». Questa profezia non si avvererà, ma se ciò accadesse, anche questa responsabilità ricadrebbe in primo luogo sulla Gran Bretagna. Politicamente Albione è già sconfitta. Gli eserciti russi sono sulla Vistola e sul Danubio, cioè a metà dell'Europa. I partiti comunisti, cioè i partiti che agiscono al soldo e secondo gli ordini del maresciallo Stalin, sono parzialmente al potere nei paesi dell'occidente.
Che cosa significhi la «liberazione» nel Belgio, in Italia, in Grecia, lo dicono le cronache odierne. Miseria, disperazione, guerra civile. I «liberati» greci che sparano sui «liberatori» inglesi non sono che i comunisti russi che sparano sui conservatori britannici.
Davanti a questo panorama, la politica inglese è corsa ai ripari. In primo luogo, liquidando in maniera drastica o sanguinosa, come ad Atene, i movimenti partigiani, i quali sono l'ala marciante e combattente delle sinistre estreme, cioè del bolscevismo; in secondo luogo, appoggiando le forze democratiche, anche accentuate, ma rifuggenti dal totalitarismo, che trova la sua eccelsa espressione nella Russia dei sovieti.
Churchill ha inalberato il vessillo anticomunista in termini categorici nel suo ultimo discorso alla Camera dei Comuni, ma questo non può fare piacere a Stalin. La Gran Bretagna vuole riservarsi come zone d'influenza della democrazia l'Europa occidentale, che non dovrebbe essere contaminata, in alcun caso, dal comunismo.
Ma questa «fronda» di Churchill non può andare oltre ad un certo segno, altrimenti il grande maresciallo del Cremlino potrebbe adombrarsi. Churchill voleva che la zona d'influenza riservata alla democrazia nell'Occidente europeo fosse sussidiata da un patto tra Francia, Inghilterra, Belgio, Olanda, Norvegia, in funzione antitedesca prima, eventualmente in funzione antirussa poi. Gli accordi Stalin-De Gaulle hanno soffocato nel germe questa idea, che era stata avanzata, su istruzioni di Londra, dal belga Spaak. Il gioco è fallito e Churchill deve, per dirla all'inglese, mangiarsi il cappello e, pensando all'entrata dei Russi nel Mediterraneo e alla pressione russa nell'Iran, deve domandarsi se la politica di Casablanca non sia stata veramente per la «vecchia povera Inghilterra» una politica fallimentare.
Premuta dai due colossi militari dell'Occidente e dell'Oriente, dagli insolenti insaziabili cugini di oltre Oceano e dagli inesauribili euroasiatici, la Gran Bretagna vede in gioco e in pericolo il suo avvenire imperiale; cioè il suo destino. Che i rapporti «politici» tra gli Alleati non siano dei migliori, lo dimostra la faticosa preparazione del nuovo convegno a tre. Parliamo ora del lontano e vicino Giappone. Più che certo, è dogmatico che l'impero del Sole Levante non piegherà mai e si batterà sino alla vittoria. In questi ultimi mesi le armi nipponiche sono state coronate da grandi successi. Le unità dello strombazzatissimo sbarco nell'isola di Leyte, una delle molte centinaia di isole che formano l'arcipelago delle Filippine, sbarco fatto a semplice scopo elettorale, sono, dopo due mesi, quasi al punto di prima.
Che cosa sia la volontà e l'anima del Giappone è dimostrato dai volontari della morte. Non sono decine, sono decine di migliaia di giovani che hanno come consegna questa: «Ogni apparecchio una nave nemica». E lo provano. Davanti a questa sovrumanamente eroica decisione, si comprende l'atteggiamento di taluni circoli americani, che si domandano se non sarebbe stato meglio per gli statunitensi che Roosevelt avesse tenuto fede alla promessa da lui fatta alle madri americane che nessun soldato sarebbe andato a combattere e a morire oltremare. Egli ha mentito, come è nel costume di tutte le democrazie.
È per noi, italiani della Repubblica, motivo di orgoglio avere a fianco come camerati fedeli e comprensivi i soldati, i marinai, gli aviatori del Tenno, che colle loro gesta s'impongono all'ammirazione del mondo.
Ora io vi domando: la buona semente degli italiani, degli italiani sani, i migliori, che considerano la morte per la patria come l'eternità della vita, sarebbe dunque spenta? (La folla grida: «No! No!»). Ebbene, nella guerra scorsa non vi fu un aviatore che non riuscendo ad abbattere con le armi l'aeroplano nemico, vi si precipitò contro, cadendo insieme con lui? Non ricordate voi questo nome? Era un umile sergente: Dall'Oro.
Nel 1935, quando l'Inghilterra voleva soffocarci nel nostro mare e io raccolsi il suo guanto di sfida (la folla si leva in piedi con un grido unanime di esaltazione: «Duce! Duce! Duce!») e feci passare ben quattrocentomila legionari sotto le navi di Sua Maestà britannica, ancorate nei porti del Mediterraneo, allora si costituirono in Italia, a Roma, le squadriglie della morte. Vi devo dire, per la verità, che il primo della lista era il comandante delle forze aeree. Ebbene, se domani fosse necessario ricostituire queste squadriglie, se fosse necessario mostrare che nelle nostre vene circola ancora il sangue dei legionari di Roma, il mio appello alla nazione cadrebbe forse nel vuoto? (La folla risponde: «No!»).
Noi vogliamo difendere, con le unghie e coi denti, la valle del Po (grida: «Sì!»); noi vogliamo che la valle del Po resti repubblicana in attesa che tutta l'Italia sia repubblicana. (Grida entusiastiche: «Si! Tutta!»). Il giorno in cui tutta la valle del Po fosse contaminata dal nemico, il destino dell'intera nazione sarebbe compromesso; ma io sento, io vedo, che domani sorgerebbe una forma di organizzazione irresistibile ed armata, che renderebbe praticamente la vita impossibile agli invasori. Faremmo una sola Atene di tutta la valle del Po. (La folla prorompe in grida unanimi di consenso. Si grida: «Si! Sì!»).
Da quanto vi ho detto, balza evidente che non solo la coalizione nemica non ha vinto, ma che non vincerà. La mostruosa alleanza fra plutocrazia e bolscevismo ha potuto perpetrare la sua guerra barbarica come la esecuzione di un enorme delitto, che ha colpito folle di innocenti e distrutto ciò che la civiltà europea aveva creato in venti secoli. Ma non riuscirà ad annientare con la sua tenebra lo spirito eterno che tali monumenti innalzò.
La nostra fede assoluta nella vittoria non poggia su motivi di carattere soggettivo o sentimentale, ma su elementi positivi e determinanti. Se dubitassimo della nostra vittoria, dovremmo dubitare dell'esistenza di Colui che regola, secondo giustizia, le sorti degli uomini.
Quando noi come soldati della Repubblica riprenderemo contatto con gli italiani di oltre Appennino, avremo la grata sorpresa di trovare più fascismo di quanto ne abbiamo lasciato. La delusione, la miseria, l'abbiezione politica e morale esplode non solo nella vecchia frase «si stava meglio», con quel che segue, ma nella rivolta che da Palermo a Catania, a Otranto, a Roma stessa serpeggia in ogni parte dell'Italia «liberata».
Il popolo italiano al sud dell'Appennino ha l'animo pieno di cocenti nostalgie. L'oppressione nemica da una parte e la persecuzione bestiale del Governo dall'altra non fanno che dare alimento al movimento del fascismo. L'impresa di cancellarne i simboli esteriori fu facile; quella di sopprimerne l'idea, impossibile. (La folla grida: «Mai!»). I sei partiti antifascisti si affannano a proclamare che il fascismo è morto, perché lo sentono vivo. Milioni di italiani confrontano ieri e oggi; ieri, quando la bandiera della patria sventolava dalle Alpi all'equatore somalo e l'italiano era uno dei popoli più rispettati della terra.
Non v'è italiano che non senta balzare il cuore nel petto nell'udire un nome africano, il suono di un inno che accompagnò le legioni dal Mediterraneo al Mar Rosso, alla vista di un casco coloniale. Sono milioni di italiani che dal 1919 al 1939 hanno vissuto quella che si può definire l'epopea della patria. Questi italiani esistono ancora, soffrono e credono ancora e sono disposti a serrare i ranghi per riprendere a marciare, onde riconquistare quanto fu perduto ed è oggi presidiato fra le dune libiche e le ambe etiopiche da migliaia e migliaia di caduti, il fiore di innumerevoli famiglie italiane, che non hanno dimenticato, né possono dimenticare.
Già si notano i segni annunciatori della ripresa, qui, soprattutto in questa Milano antesignana e condottiera, che il nemico ha selvaggiamente colpito, ma non ha minimamente piegato.
Camerati, cari camerati milanesi!
È Milano che deve dare e darà gli uomini, le armi, la volontà e il segnale della riscossa!
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(Puoi leggere anche):
MUSSOLINI ULTIMO ATTO. Intervista del Duce: http://ablocutio.blogspot.com/2014/11/mussolini-ultimo-atto.html
MUSSOLINI! Alcune frasi del Duce e bel video: http://ablocutio.blogspot.com/2014/11/blog-post_25.html
LE ULTIME RIGHE DEL DUCE BENITO MUSSOLINI: http://ablocutio.blogspot.com/2014/12/le-ultime-righe-del-duce-benito.html

domenica 28 dicembre 2014

LE ULTIME RIGHE DEL DUCE BENITO MUSSOLINI (un falso?)

Non è la fede che mira nell'ora del crepuscolo quella che mi sostiene, è la fede della mia infanzia e della mia vita che mi impone di dover credere, anche quando avrei forse il diritto di dubitare.
Non so se questi miei appunti saranno mai letti dal popolo italiano; vorrei che così fosse, per dargli la possibilità di raccogliee in confessione di fede il mio ultimo pensiero.
Non so nemmeno se gli uomini mi concederanno il tempo sufficiente per scriverli.
Ventidue anni di governo non mi rendono probabilmente degno a giudizio umano di vivere altre ventiquattro ore.
Ho creduto nella vittoria delle nostre armi, come credo in Dio, Nostro Signore, ma più ancora credo nell'Eterno, adesso che la mia sconfitta ha costituito il banco di prova del quale dovranno venire mostrate al mondo intero, la forza e la grandezza dei nostri cuori.
E' ormai un fatto che la guerra è perduta, ma è anche certo che non si è vinti finchè non ci si dichiara vinti.
Questo dovranno ricordare gli italiani se, sotto la dominazione straniera, arriveranno a sentire l'insoffocante risveglio della loro coscienza e dei loro spiriti.
Oggi io perdono a quanti non mi perdonano e mi condannano, condannano se stessi.
penso a coloro ai quali sarà negato per anni di amare e soffrire per la Patria e vorrei che essi si sentissero non solo testimoni di una disfatta, ma anche alfieri della rivincita.
All'odio smisurato e alle vendette subentrerà il tempo della ragione.
Così riacquistato il senso della dignità e dell'onore, son certo che gli Italiani di domani sapranno serenamente valutare i coefficenti della tragica ora che vivo.
Se questo è dunque l'ultimo giorno della mia esistenza, intendo che anche a chi mi ha tradito, vada il mio perdono, come allora perdonai al Savoia la sua debolezza.

Germasino, 27 Aprile notte
Benito Mussolini
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(Puoi leggere anche):
MUSSOLINI ULTIMO ATTO. Intervista del Duce: http://ablocutio.blogspot.com/2014/11/mussolini-ultimo-atto.html
MUSSOLINI! Alcune frasi del Duce e bel video: http://ablocutio.blogspot.com/2014/11/blog-post_25.html
IL DISCORSO DEL LIRICO Milano: 16 Dicembre 1944 Teatro Lirico: http://ablocutio.blogspot.com/2014/12/il-discorso-del-lirico-milano-16.html

venerdì 26 dicembre 2014

SERMONTI!

RICORDO DI AVER OSSERVATO SU YOUTUBE (QUI ALL'ESTERO) CON QUALE ENFASI L'EBREO MENTANA DAVA AL TLA7 LA NOTIZIONA IN PRIMO PIANO, CIONDOLAVA TUTTO, COME AL SUO SOLITO COME UN BURATTINO, REGALANDOMI UNA ESPRESSIONE DI DISGUSTO...SUBITO DOPO LE SCHIFOSE SECCHIATE DI MERDA GETTATE SU RUTILIO SERMONTI DAL REGIME CAPITAL-COMUNISTA TRAGGO DALLA PAGINA FACEBOOK DEL CAMERATA VINCENZO NARDULLI QUESTE RIGHE.
NON TEMERE RUTILIO COME FU BUDDHA A DIRE TUTTA LA MERDA CHE CI VIENE GETTATA ADDOSSO SE NON RACCOLTA APPARTERRA' SOLO A CHI L'AVRA GETTATA.
O ANCHE MI VENGONO ALLA MENTE LE PAROLE DELL'IMPERATORE MARCO AURELIO ANTONINO QUANDO STOICAMENTE SCRIVEVA E LASCIAVA SCRITTO
"UN FUOCO VIOLENTO SI IMPADRONISCE DI CIO CHE GLI SI GETTA E LO CONSUMA E, PROPRIO GRAZIE A CIO, DIVAMPA ANCORA PIU ALTO".
RUTILIO SERMONTI RACCONTA UNA ESPERIENZA BELLICA (ascolta):
LA VERITA' VERA.....ONORE AL CAMERATA RUTILIO ! ! ! Lo troviamo intento a disegnare un lupo, «l’animale per eccellenza simbolo di ferocia e violenza, non è così?», ironizza Rutilio Sermonti, 93 anni e la mano ancora ferma, col pennino che tratteggia alla perfezione l’animale digrignante sotto lo sguardo fiero della sua seconda moglie, Krisse, Clarissa, nata in Finlandia e «sposata davanti al sole, con rito solo nostro, in cima al Monte Pellecchia, in Abruzzo, a 2 mila metri d’altezza, molto vicino al nido delle aquile...». La notte del 22 dicembre a casa sua sono arrivati i carabinieri: «Erano le tre, dormivamo - ricorda Sermonti -. Si sono messi a fare luce con le torce contro le nostre finestre. “Aprite!” ci dicevano. E noi due, spaventatissimi: “Neanche per sogno, ora chiamiamo la polizia”. Alla fine ci hanno convinti, sono entrati e si sono messi a perquisire la casa, portando via il computer. Bene, io dico, perché nel mio computer c’è tutta la verità. E quello che penso è scritto nei miei libri». Secondo la Procura dell’Aquila, invece, sarebbe proprio lui - l’ex repubblichino, tra i fondatori del Movimento Sociale Italiano e poi di Ordine Nuovo - l’ideologo di «Aquila Nera», il grande vecchio che avrebbe ispirato con le sue teorie rivoluzionarie il progetto terroristico della banda di «Avanguardia ordinovista», il gruppo di neo-fascisti che avrebbe voluto sovvertire la Repubblica a colpi di attentati, rapine e omicidi. Ma lui non ci sta: «Avanguardia ordinovista? Mai sentita nominare. La verità è che io sono l’ideologo di tanti che non conosco, che leggono i miei libri e poi chissà cosa gli viene in mente. E chi sarebbero i miei adepti? L’ex carabiniere Stefano Manni e sua moglie Marina? Sì, ora ricordo, son venuti più volte qui a casa mia...». La signora Clarissa rammenta che venivano «quasi in adorazione», il signor Manni, la moglie e altri che i coniugi Sermonti chiamavano «il gruppo di Pescara». «Vennero da noi tre o quattro volte, erano simpatici, amichevoli, poi mettevano su Facebook le mie foto e i miei testi». E passavano le ore a farsi raccontare da Rutilio i tempi della guerra o di quando giurò davanti al Duce allo Stadio dei Marmi il 28 ottobre 1938. E qualche volta cantavano anche, tutti insieme, le canzoni fasciste («Diventiamo tutti eroi con la morte a tu per tu») oppure delle SS («Waffen Waffen Waffen»), ma senza mai accennare a propositi bellicosi, come quello di uccidere i politici e gli extracomunitari e addirittura replicare la strage dell’Italicus e «carbonizzare» il capo dello Stato. «Chi è Stefano Manni? Solo un millantatore - s’indigna Rutilio Sermonti sulla sua sedia a rotelle -. Un chiacchierone che riempiva i discorsi di fregnacce e bla-bla-bla. Uno a cui piaceva sentirsi qualcuno. Ma per essere qualcuno bisogna fare qualcosa e lui non ha mai fatto niente. Manni il deus ex machina dell’organizzazione? Ma scherziamo, al massimo della macchina del caffè...».
Il vecchio pittore e scrittore, autore con Pino Rauti di «Una storia del fascismo», confessa di sentirsi preso in giro: «Manni l’ultima volta mi promise mille euro per dare alle stampe il mio ultimo libro “Non omnis moriar”, ma il suo bonifico ancora l’aspetto e due mesi fa gli scrissi al computer un elenco di insulti che i carabinieri potranno riscontrare. Da quel giorno chiusi con lui». Rutilio Sermonti è fratello di Giuseppe lo scienziato e Vittorio l’illustre dantista: «Giuseppe mi ha telefonato appena saputa la notizia dal telegiornale, con Vittorio non ci vediamo da sette anni e mi piacerebbe tanto riabbracciarci, come quando un tempo ci vedevamo a Roma al ristorante di mio nipote Andrea, il figlio di Giuseppe, a Trastevere». Oggi fanno impressione i suoi racconti dal fronte jugoslavo, dopo l’8 settembre, lui arruolato nella Schutzpolizei («Gli ufficiali tedeschi amavano ripetere: con Sermonti non si muore...»). Senza l’ombra di un pentimento, neppure un dubbio sul fatto di essersi schierato coi nazisti. Anzi mostra con orgoglio la croce di ferro della Wehrmacht appesa al muro, vicino a un manifesto di Julius Evola e a una foto in bianco e nero di Pio Filippani-Ronconi («Mio grande amico») con l’uniforme delle Waffen-SS. «È vero, sono un ideologo - conclude Sermonti -. Ma non della violenza! Uccisi della gente, in guerra, con la mitragliatrice: ma appunto solo in guerra uccidere è legittimo, per me! La violenza popolare io l’ho prevista, mai incoraggiata».
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(Puoi leggere anche): GALLINE NERE. Tutto fa brodo per dimenticare le magagne rosse.Le voci di Freda, Adinolfi e Capitan Harlock
http://ablocutio.blogspot.com/2014/12/aquile-nere.html
FREDA! http://ablocutio.blogspot.com/2014/12/freda.html

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FREDA!

Nel 1963 Freda scrive il Manifesto del Gruppo di Ar, che fissa le coordinate del suo pensiero:
« Noi siamo: contro i partiti politici. Dagli attuali partiti politici appaiono solo posizioni politiche al crepuscolo, che possono costituire il supporto per il successo di gruppi oligarchici, non certo inserite nel nostro modo generale d'essere. Noi siamo antidemocratici: sui feticci delle democrazie capitalistiche e bolsceviche ricade la responsabilità del crollo dei valori politici e del trauma morale che ha disintegrato degli individui alienandoli dalla vita organica dello Stato. Noi siamo contro certe esasperazioni del nazionalismo, che riteniamo aver frantumato nelle loro implicazioni storiche il substrato unitario della civiltà d'Occidente. Noi siamo antiborghesi: la borghesia, intesa come stato d'animo e prospettiva economicistica del mondo è la prima responsabile di questo clima dissolvente [...]
Noi siamo per uno stile di vita che nessun partito può darci; ma solo un Ordine di idee, una Unità differenziata di istanze, il Cameratismo nella lotta contro un sistema sfaldato. Noi siamo per una Aristocrazia che è radicale rifiuto del modello egualitario. Noi assumiamo una prospettiva gerarchica e organica [...] Noi siamo per le civiltà d'Europa e d'Occidente, con i loro Miti e le loro Tradizioni, al di là degli egoismi e dei provincialismi sterili in cui si chiude l'odierna mentalità nazionalistica. Noi siamo per una concezione tradizionale dell'esistenza in cui le suggestioni esasperate e anormali della società e dell'economia cedano il posto ai valori eroici dello spirito intesi come Onore, Gerarchia, Fedeltà »
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(Puoi leggere anche): PIRANDELLO! http://ablocutio.blogspot.com/2014/12/luigi-pirandello-agrigento-28-giugno.html

mercoledì 24 dicembre 2014

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✒ GALLINE NERE.
Tutto fa brodo per dimenticare le magagne rosse .
Le voci di Freda, Adinolfi e Capitan Harlock

>>> TRATTO DA INTELLIGONEWS.IT:
L’operazione “Aquila Nera”? “Una pagliacciata, con provocazioni degne di Alan Ford”. Gabriele Adinolfi, ex fondatore di Terza Posizione negli anni ’70 e oggi scrittore impegnato a proporre un’altra verità sugli anni di piombo e la strategia della tensone, non crede neanche per un attimo alla pericolosità dei soggetti in questione: “Gente che non ha mai preso una multa in vita sua, hanno arrestato dei nickname. Piuttosto attenti a quanto sta accadendo in Francia”.
Adinolfi, come esce fuori questa inchiesta dal roboante nome di “Aquila Nera”?
«È ovvio: si scopre che le cooperative rosse prendono tangenti sugli zingari e si comincia a parlare di Nar. Poi si scopre che c’erano implicati anche ex brigatisti, e allora bisogna rilanciare con il pericolo fascista».
Insomma, l’operazione “Aquila Nera” è una bufala? Orchestrata da chi?
«Renzi sta ridimensionando i comunisti all’interno del Pd e i comunisti, per risposta, utilizzano i soliti apparati degli anni ’70 per aggiustare il tiro. È così che si arriva all’arresto di 15 sconosciuti – perché di questo si tratta – che avrebbero complottato per mettere in pericolo la democrazia in Italia. È una vicenda in cui ci sono almeno tre elementi da rilevare».
Quali?
«Uno: la procura antimafia ha tempo da perdere con queste pagliacciate. Due: il fatto che in una organizzazione del genere ci fossero ben due infiltrati dei Ros è davvero una provocazione degna di Alan Ford. Tre: nel delirio di democrazia sregolata da social network anche gente che non ha mai preso una multa in vita sua gioca alla rivoluzione, ma è una cosa che in un Paese normale genererebbe tutt’al più un’alzata di spalle».
Si tratterebbe di un’azione per distrarre l’opinione pubblica, quindi. Ma nell’era di internet e dell’informazione in tempo reale hanno ancora senso operazioni del genere? Già oggi nessuno parla più di “Aquila Nera”…
«Vero, ma tutti gli apparati si muovo con riflessi condizionati pavloviani. Scattano sempre gli stessi meccanismi senza che qualcuno ci si ponga reali problemi di efficacia. In ogni caso, che qualcuno che starebbe progettando azioni violente venga arrestato rientra nella norma, ma il fatto che la cosa venga presentata in questo modo dimostra quanto meno la malafede. Del resto se dovessero arrestare tutti quelli che al telefono dicono di voler uccidere qualcuno…».
E i No Tav? Anche lì l’accusa di terrorismo è campata in aria, come dicono i giudici? Eppure, dopo l’ennesimo sabotaggio, Lupi ha parlato proprio di terrorismo…
«Dipende da cosa intendiamo per terrorismo, che dovrebbe essere la possibilità di portare una minaccia reale alla pubblica incolumità. In questo senso, l’assalto al cantiere di Chiomonte non è terrorismo. E neanche i sabotaggi di oggi. È ovvio, tuttavia, che la vittoria di Renzi e dei democristiani comporti un ritorno della logica degli opposti estremismi sia, attivamente, dalla componente democristiana, sia, in difesa, dalla componente comunista. Anche se si tratta di opposti estremismi di questo livello qui. L’evento preoccupante di questi giorni è semmai un altro».
Quale?
«In Francia ci sono stati tre tentativi di attacco da parte di squilibrati in pochi giorni. È per caso arrivato un ordine? Non vorrei che si passasse alla strategia degli opposti estremismi etnici. I nostri apparati sono vecchi e mettono contro i reazionari No Tav contro i nickname di estrema destra. Quello che accade in Francia mi sembra di un altro livello…».
>>> TATTO DALLA PAGINA FACEBOOK DI GABRIELE ADINOLFI:
GABRIELE ADINOLFI: Morale della favola del "terrorismo fascista di fine anno" che contribuirà a non far parlare della vera natura della mafia capitale, natura che è il traffico degli immigrati. La morale è un monito - inutile perché non verrà recepito - ai fasciobook: non scrivete cazzate perché vengono volutamente interpretate come cose serie e anche se non avete mai preso una multa nella vostra vita e mai lo farete vi scoprite "terroristi" ammanettati. Fasciobook è un giocattolo insidioso perché lascia credere ai nessuno di essere qualcuno e vi spinge nelle atmosfere fiction. Lasciate stare...
DANIELE MARTIGNETTI:Concordo. Personalmebtr litigai con un demente che inneggiava ai genocidi in nome del fascismo. Sai bene Gabriele che ti seguo nel tuo operato, ma ti chiedo a nome di molti: quando l entrata in politica per creare finalmenre i riferimenti che non siano scemità quali cpi o fn? I tempi sono cambiati, parlare e agire con le armi è stupido, non fa ottenere effetti. Si cambia entrando in Parlamento, non rimanendone fuori.
GABRIELE ADINOLFI:In realtà entrando in parlamento finora si cambia soltanto se stessi. Per cambiare le cose serve creare potere autonomo (lobby, contropotere) ma questo è un altro dibattito. Qui si parla dello stupidario fasciobook che tra gli stilatori di liste di proscrizione in guerre cibernetiche e quelli che dietro la tastiera minacciano rivoluzioni cruente ed esecuzioni sommarie è un bel campionario di bamboccioni. Ah la democrazia!... Che danni fa la democrazia!
MAURO SCARPITTA:Considerazioni ineccepibili. Ahimè con i mentecatti feisbucchiani saranno parole al vento.
GABRIELE ADINOLFI:Sì sono parole al vento ma vanno comunque pronunciate
ANDRES MARZIO MOLISE:uno degli indagati Cristian Masullo haha (potreste averlo anche tra le amicizie)
GABRIELE ADINOLFI:e se lo abbiamo tra le amicizie che problema c'è? Leggo il suo fasciobook: ritorniamo al discorso iniziale. In un Paese serio, chessò una rpeubblica delle banane, si sarebbero messi a ridere e basta,
CRISTIAN MASULLO:Ebbene io ho il coraggio di scrivere ció che penso e per onestà inrellettuale non mi sono sottratto alle mie responsabilità, non ho negato il mio ideale, non per dire, sicuramente chiarirò la mia posizione nei luoghi di competenza, ma non pensiate che quella che vedete sopra sia la mia mise abitudinale, quella é una foto che feci nel carnevale del 2013, poi la carta,stampata attraverso le foto fb ha estrapolato questa e la ha data in pasto al popolino, infondo chi mi conosce non potrà mai attestare che,io sia ciò che il Sistema vuol farvi credere, io nonostante questo putiferio posso camminare a testa alta!!!!
ANDRES MARZIO MOLISE:Cristian Masullo quella foto e' sul tuo profilo, quindi nessuno la ha estrapolata o data in pasto ma e' pubblica. Gli ideali per i quali quegli uomini che si vestivano cosi davvero "combattevano" non sono degni d'essere messi in piazza con abiti di carnevale per non richischiare di far ridere solo le iene antifasciste, poi ognuno si veste come vuole a carnevale. Io per esempio, da niente. Solo da zorro, sempre da quel cazzo di zorro, da bambino..anche se avrei sempre voluto il costumino rosso dell'uomo ragno quello con il ragno sulla pancia. Comunque per onesta intellettuale a mia volta, ti allego qui una cazzata che ho fatto in un momento di noia, e che (spero lo si comprenda) vuole mettere in ridicolo non la tua mise (effettivamente carnevalesca come dici) bensi la solita comica patetica grottesca ed in questo caso subdola attenzione mediatica data dai media italioti ad una vicenda (la vostra) che e' oggettivamente un qualcosa di effimero...io non credo affatto che voi abbiate avuto intenzioni cosi criminose e che abbiate organizzato il tutto su facebook, non sono cosi idiota. E' un paese di pagliacci, e la foto mi ha ispirato una bella sdrammatizzazione della cosa. Auguri a voi camerata per la vostra vicenda che spero si risolva facilmente.
CRISTIAN MASULLO:Avrebbe potuto usare pure questa allora!!!
ANDRES MARZIO MOLISE:puoi darmi del tu ho 39 anni, forse come te. in quella come ti sentivi? berlusconiano? cristian da te sono le tre di notte passate (io sono nelle filippine qui davvero repubblica delle banane..infatti rido) ti auguro a parte le battute che la tua vicenda si risolva bene e spero tu non sia ancora sveglio a causa di questa storiaccia. auguri
CRISTIAN MASULLO:Grazie, so di avere la,coscienza pulita e sono"sereno"...
ANDRES MARZIO MOLISE: ecco..quella e' appunto la frase che ti volevo suggerire. oppure "ho fiducia nella giustizia cui dimostrerò la mia totale estraneità”
>>> INTERVISTA A FREDA SUL CORRIERE DEL VENETO DEL 24/12/2014 (a cura di Andrea Priante)
Come giudica questa Avanguardia Ordinovista?
«Mi pare che sia improprio parlare di “giudizio”: parlerei solo di igiene mentale. E proprio per questo mi stupisco che ci siano dei magistrati che emettono mandati di cattura. I dementi si curano, non si catturano»
E del leader, Stefano Manni, che idea s’è fatto?
«Le rispondo solo per cortesia: nessuna».
Tra gli indagati ci sono ex di Ordine Nuovo. Li ricorda?
«Gianni Nardi l’ho conosciuto a San Vittore e mantengo di lui un ricordo di persona cortese. Era un devoto della “volontà di potenza”. La sua lettura degli aforismi nietzschiani si esauriva, però, in questa parafrasi: “Non è la buona causa a giustificare una guerra ma è la buona guerra a giustificare una causa”. Rutilio Sermonti è un vecchio signore molto garbato che ebbi l’onore di conoscere nel suo gabinetto di paleontologo all’università di Roma. So che è stato un generoso miliziano nazifascista».
Qual era l’obiettivo di Ordine Nuovo?
«So che le semplificazioni della cronaca mi attribuiscono un’adesione a Ordine Nuovo. Non è così. Negli anni ‘60 avevo formato a Padova una sodalità, il Gruppo di Ar, e con gli ordinovisti abbiamo avuto solo contatti occasionali. Io intendevo coniugare il verbo "volere”, loro si contentavano di sparlarsi addosso. Invocavano la rivoluzione, d’altronde era di moda: c’era chi si costruiva ottime carriere posando da antiborghese. Ma al di là delle parole quanta vanità e vuotezza».
Parliamo di estrema destra, allora. Quale doveva essere l’obiettivo?
«Ho fondato le Edizioni di Ar nel ’63. Il mio proposito era e resta quello di disintossicare le anime, e quanto meno i cervelli, dai veleni della modernità».
Ha ancora senso, oggi, una destra di lotta?
«Oggi più di ieri occorrerebbe assumere dei riferimenti culturali e politici diversi rispetto a quelli che ci vengono ossessivamente proposti. Se ieri c’era soprattutto un impulso ideale-ideologico e anche storico-sentimentale, oggi ci sono la coazione e l’urgenza dei fatti, la pressione e l’oppressione dei fatti, che deturpano e snaturano tutto quanto. Se rischia il collasso per colpa della propria antimodernità una casa editrice come «Il Mulino», e nel contempo vediamo dei bipedi spintonarsi per aggiudicarsi il nuovo iPhone, la situazione è veramente di una gravità spaventosa. C’è stata la resa incondizionata alla mercatura, alla dittatura della fatuità, del soldo. E allora sa cosa le grido? Viva Togliatti, piuttosto che i commis della finanza internazionale»
Da questa nuova indagine emerge la perdita della centralità del Veneto negli equilibri dell’eversione di destra, a favore di altre zone d’Italia. Cos’è cambiato?
«Mi sembra una domanda non rispettosa della globalizzazione. Tutto è centro e niente è centro, oggi. I veneti non hanno forse impiantato le loro fabbriche in Cina?»
L’organizzazione stroncata ieri si richiamava a Ordine Nuovo. Paragone sostenibile?
«A me non è mai piaciuta la locuzione Ordine Nuovo, che è il calco-traduzione della Neue Ordnung della propaganda nazista, dimenticando Gramsci, che fu il primo a impiegarla. Io mi riconosco nell’Ordine, quello con la “O” maiuscola, che non è né di ieri né di oggi né di domani, né vecchio né nuovo. È l’Ordine tout-court».
Riproviamo: Avanguardia Ordinovista sta alla sua idea di estrema destra come…
«Come certi matti che si credono la Madonna rispetto alla Cappella Sistina. Entrambi, apparentemente, trovano riferimento nel Cristianesimo».
Eppure lei poneva le premesse della presa del potere sul disordine sociale. In fondo anche Avanguardia Ordinovista punta allo stesso obiettivo: destabilizzare attraverso azioni di forza.
«Ho l’impressione che lei voglia confondere la tattica con la strategia. Insisto: mi sembra gravissima questa confusione. Escludo che attualmente vi sia un disegno strategico in senso proprio da parte di gruppi o organizzazioni di estrema destra. Quanto alla tattica, che deve risultare in ogni caso subordinata alla strategia, non credo nemmeno che costoro siano all’altezza di pensarne e svilupparne una».
Negli anni ’60-’70 furono compiute azioni stragiste su treni, banche e piazze. Oggi nel mirino finiscono politici, magistrati ed Equitalia. Almeno in parte, sono cambiati i “nemici” per la destra eversiva?
«Se negli anni ‘60 si poteva pensare di distruggere quello che non andava per creare e dare ossigeno all’Italia migliore, oggi è solo creando che si può distruggere. Sono troppo radicate certe storture, troppo endemico il contagio della corruzione, troppo lontani i riferimenti ideali alti, puri, giusti. Occorre ritornare a guardarli da vicino, riscoprirli, prima di potersi dare a una politica “in ordine”, temperata o spregiudicata che sia. I libri sono una possibilità: per questo ho ritenuto di dedicare il mio tempo alle bozze dei testi di Ar ripetendomi “ogni riga è profitto”. Un’altra possibilità, è osare l’utopia di Tommaso Campanella: cercare di generare esseri migliori, che sappiano inventarsi un modo per restituire all’avventura umana la “maraviglia”».
La violenza è giustificabile, se l’obiettivo è l’istaurazione di un nuovo ordine sociale?
«Sono un monaco gentile, non brandisco la “spada di Satana”. Ma già prima le ho detto che, nel dominio ideale in cui mi riconosco, l’aggettivo “nuovo” non può attaccarsi al sostantivo “ordine”. Si immagini poi se ci vuole appiccicare anche il sociale…».
AGGIORNAMENTO AL 28 GENNAIO 2015
Terrorismo, Manni ai familiari
"Ho sbagliato, voglio ricominciare"
TUTTO L'ARTICOLO DEL CORRIERE ADRIATICO: http://www.corriereadriatico.it/%E2%80%A6/asc%E2%80%A6/notizie/1144423.shtml
Opera, 25 novembre 2008
II 6 giugno 1945, a Forte Bravetta, a Roma, il tenente Pietro Koch, comandante di un reparto speciale di polizia della Repubblica sociale italiana, si avvia alla fucilazione con una sigaretta in bocca e aggiustandosi la riga dei pantaloni. Pochi giorni prima, aveva dichiarato ad un giornalista: “lo ero e sono convinto, per quanto la considerassi già persa, che la mia causa fosse giusta; dovevo agire contro le organizzazioni clandestine, non mi pento di aver combattuto”. “lo e mia moglie”, tuona Valerio Fioravanti con accanto Francesca Mambro, dinanzi alle telecamere della televisione di Stato, “siamo due criminali recuperati alla società”. Definizione giusta, veritiera, quella che il Fioravanti e la mogliettina danno di sé stessi e che riesce a dare, fisicamente, l’immagine dell’abisso che separa il fascismo ed i fascisti dal “neo-fascismo” post-bellico e dai suoi militanti. (...)Non c’è – è inutile cercarlo – neo-fascista post-bellico di apparato (di Stato) e di servizio (segreto), che non sia uscito dal carcere in ginocchio e piangendo, in un’orgia di pentimenti, ravvedimenti, rimorsi, dolore per le vittime, volontà di fare del bene per rimediare al male compiuto ecc. ecc …
Vincenzo Vinciguerra
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(Puoi leggere anche): CHI E' FASCISTA? Oltre gli stereotipi che ti hanno cucito addosso http://ablocutio.blogspot.com/2014/11/chi-e-fascista.html
SERMONTI! http://ablocutio.blogspot.com/2014/12/sermonti.html

lunedì 22 dicembre 2014

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venerdì 19 dicembre 2014

HAGAKURE. Bonta' e cattiveria, concetti umani

(Puoi leggere anche): HAGAKURE. Sul come reagire alle difficolta' http://ablocutio.blogspot.com/2014/11/hagakue-sul-come-reagire-alle.html

✒ ANNA FRANK ENTRA IN UN CAFFE': SHOAH! Dialogo tra il dott. Foligno e Saturnino il suo macellaio

ROMA. ESTATE. IL DOTTOR FOLIGNO INVITA SU A CASA IL SUO MACELLAIO IN UN IMPETO DI FRATERNITA' E SENSO DI UGUAGLIANZA FRA DIVERSE CLASSI SOCIALI.
SALOTTO DI UNA CASA PER BENE. DUE UOMINI SONO SEDUTI UNO DI FRONTE ALL'ALTRO. IN MEZZO A LORO UN TAVOLO. SI FISSANO
- DOTTOR FOLIGNO - ...eh gia' gia', questo paese sta andando a rotoli, lo si diceva anche lo scorso Sabato in sinagoga...ma scusami, vuoi un caffe'? ti faccio un caffe'...
- SATURNINO - Ma no...veramente, guardi....non vorrei disturbare.
- Ma non disturbi affatto, scusa!! se te lo dico! mi fa piacere.
- Vabbe', se insiste...
- Ma no, non e' che insisto, e' che mi fa piacere se prendi un caffe'. Allora? lo vuoi o no?
- Non so...
- Come non so scusa? mi fa piacere, ti dico.
- Vabbe', se insiste si grazie lo prendo volentieri!
- No io non insisto. Se lo vuoi lo faccio, senno' non insisto. Voglio dire, non e' che voglio disturbarti....
- Ma no non mi disturba affatto, insista pure se le fa piacere.
- No vabbe', a questo punto non insisto scusami...se lo vuoi lo vuoi, se non lo vuoi non lo vuoi...allora lo vuoi o no?
- Si!
PAUSA. SI GUARDANO.
- Sei sicuro che lo vuoi?
- Credo...si forse si.
- Perche'...se non sei sicuro...insomma, io non voglio disturbarti.
- Non so.
- Si o no?! Ti prego, prendilo. Guarda...insisto.
- Si...SI LO VOGLIO! Grazie!
PAUSA.
- Purtroppo e' finito. Ho del te' se vuoi, ne vuoi?
- Credo di si. Cioe' si, sono sicuro, forse vorrei del te'.
- Allora il caffe' non lo vuoi piu'?
- Prendo il te'.
- Te' o caffe'? decidi.
- Caffe'.
- Ci vuoi il limone o il latte?
- Del ghiaccio.
- E ti ci metto la cannuccia?
- No grazie, lo bevo col cucchiaio. Magari un filo d'olio...
- Fragola o limone?
- Caffe'.
- Purtroppo e' finito, ho del vino se ne vuoi
- Preferirei la coppetta...
- Eeh ma quante storie!! questa casa non e' mica un bar!!! esca immediatamente da casa mia dannato razzista! torni a risquartare i suoi luridi maiali! lei e' un fascista!
(delirio da noia notturna, durante tifone: 3:35 am, Manila)
Un tropicale sieg heil
Andres Marzio M o l i s e

giovedì 18 dicembre 2014

BREVISSIMO VIDEO SUL FUTURISMO 8 minuti

(Puoi leggere anche):BENE! Il futurismo letto da Carmelo Bene http://ablocutio.blogspot.com/2014/11/personalmente-ho-amato-carmelo-bene-fin.html
LA CUCINA FUTURISTA http://ablocutioii.blogspot.com/2015/03/la-cucina-futurista.html

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(dal blog di Svart Jugend) ROBERTO BENIGNI E' UN VERME.

Voglio riproporre qui, in occasione dei dieci comandamenti del compagno Benigni, questo scritto di Svart Jugend che risale al 2011 ma resta comunque attualissimo. Buona lettura davvero.
Siamo io, Pazuzu e gli Khmer.
Negri nella nebbia alle 5 del mattino e alla fine ti ritrovi sempre col culo su un intercity a bere Peroni calde e guardare fuori dal finestrino, ed è buio e vedi solo il tuo riflesso, le occhiaie di chi non dorme nemmeno se prende una doppia a Minias® Tirith che si perdono nelle coltri di nebbia, mentre fai su e giù dal cesso pregando di non beccarti la dissenteria soltanto respirandone l’aria malsana di vagone di seconda classe sparato nelle tenebre su rotaie fantasma, e quando respiri aria fresca pensi a chi gliel’hanno tolta.
Roberto Benigni è un verme.
Certo che 60 milioni di persone non fanno un popolo, così come cinque universitari in un appartamento non fanno una famiglia, ma pare ci sia un’intera fottuta nazione sparata nelle tenebre su rotaie fantasma che osanna Benigni. E grazie al cazzo che ti fai luce con i fuochi fatui.
Prima di salire su questo carro bestiame con il condizionatore rotto, con due buste di Peroni come compagne di viaggio, ho trascorso una serata orribile a bere e vedere volti dei morti ovunque – nello specchio, nei quadri, nella brughiera, nel monitor del pc. Pensa che palle farmi il test di Rorschach. Accendo la tv e niente, nessuna faccia di cadaveri, allora cerco qualcosa con Rocco Papaleo per sfasciare tutto, perché quel tizio rivaleggia in abiezione con Idris e mi fa vomitare. Trovo soltanto Ciccioni che Muoiono su Real Time, Teen Mom che ci casco sempre che è un porno, e la fiction sul delitto di Via Poma, I Cesaroni. E Fiorello.
Certo che 60 milioni di persone non fanno un popolo, così tecnicamente Goldman Sachs e compagnia non potranno essere formalmente accusati di genocidio, ma pare che ci sia un’intera fottuta nazione che si fa luce con i fuochi fatui che osanna Fiorello. A me non fa ridere. A me fa ridere soltanto Anna Frank entra in un caffè: Shoah. Ma è bravissimo Fiorello, dicono, e non è mai volgare. Questa del mai volgare è un tormentone, lo dicono tutti, pure Valeria Marini, arbiter elegantiarum, che si infilava le anguille nel culo con Bigas Luna. E sono d’accordo anch’io, eh, soltanto che lo dite come se fosse un pregio. Se Fiorello si tirasse fuori il cazzo e pisciasse in testa ad un nano vestito da donna che recita passi dell’Apocalisse di Giovanni sarebbe di certo bollato come volgare, ma vieni a dirmi che non lo guarderesti.
Ma Fiorello non è mai volgare, quindi anziché raccontare questa barzelletta che ho appena inventato:
Pierino va in campagna dai nonni.
Nonna, nonna!, dice, perché nonno fa così alla mucca?
Perché, risponde la nonna, così possiamo avere il latte.
Nonna, nonna!, dice di nuovo Pierino, perché nonno taglia quelle foglie?
Perché, risponde la nonna, così possiamo avere l’insalata.
E nonna, nonna!, continua Pierino, perché nonno spruzza il verderame su quel pesco?
Perché, risponde la nonna, se non conosci la funzione del verderame dubito tu ne conosca il nome, e dubito tu sappia distinguere un pesco quando non sai riconoscere delle foglie di lattuga, quindi la tua battuta è sostanzialmente un buco di sceneggiatura, magari chi l’ha scritta è ubriaco.
E nonna, nonna!, riprende Pierino, perché adesso nonno sta scopando una scimmia morta?
Perché, risponde la nonna, lo sceneggiatore oltre che sbronzo è anche volgare, e l’ultima volta ha votato Frank Zito. E poi quella scimmia è soltanto svenuta.
invita Benigni. E si guarda bene dal pisciargli addosso facendogli declamare l’Apocalisse vestito da donna. Io a Benigni gli verrei in faccia per ogni panda in pericolo che si rifiuta di fottere per salvare la sua specie, così magari fa una faccia da cumshot a tradimento come Elsa Fornero e fa ridere. Ammetto che ai tempi mi conquistò con quel suo film bellissimo dove un gruppo di nazisti organizza un gioco a premi per far vincere un carro armato ad un bambino, ma poi è scaduto decisamente in quella paccottiglia antiberlusconiana che andava tanto di moda nei salotti bene. Anzi, che va tanto di moda nei salotti bene, visto che ad un mese dalle dimissioni il rachitico continua a farci battute. Ma perché? Ma chi ci ride? Non è come Pierino entra in un caffè: Anna Frank, che diverte grandi e piccini. Allora lo ascolto, per carpirne i segreti, così magari un giorno faccio un sacco di soldi anch’io, e avrò una fila di mignotte che si fanno autografare le tette anziché i debosciati della Curva del Male che si fanno autografare il cazzo, facendoselo venire duro per farci entrare la dedica, per poi gridare soddisfatti grazie mille! Adesso non me lo laverò mai più!
Mentre ascolto Benigni, mi rendo conto che non sto capendo che cazzo dice. Nessuno lo capisce. Come quando parlava Giovanni Paolo II, erano solo rantoli e tremori, nessun cazzo di discorso in quattro lingue, e tutti applaudivano, tutti erano felici. Qui è lo stesso, h aspirate a caso e stop. La gente ride perché lui è brutto e salta. Allora rido anch’io, però poi rosico perché se voglio vedere uno brutto che salta vado al freak show e gli lancio un nichelino, non 400.000 € mortaccivostra che infatti avete bandito apposta i freak show, e ci avete messo i circhi, che andrebbero aboliti, specie quelli con gli animali, e non perché gli animali mi fanno pena ma perché mi fanno schifo e non voglio leoni e oranghi che cagano stronzi pantagruelici sul suolo della mia nazione.
E invece no, niente nani (vero Fiorello?), niente donna baffuta, niente licantropi, perché Benigni è uno colto: pensa te, recita Dante. La Divina Commedia, mica cazzi. E io che credevo te la propinassero dalla scuola media e la mettessero in omaggio con Oggi. Io che per fare citazioni cinematografiche urlo dalla finestra ah mora, stuccame er cornicione der cazzo! e mi dicono che sono volgare.
E intanto Benigni suda. Non rido più, e lentamente le parole tornano comprensibili. Mi sta per salire la pietà, quella autentica, alla Angelo Stazzi, quando il nostro inizia a sbrodolarsi la fica sul governo Monti, quello degli sbirri, dei preti e dei banchieri che avete trovato sotto l’albero di Natale, che Natale quest’anno non è triste, Natale quest’anno cià i cazzi suoi. Cioè, anziché ridarci i soldi per quella merda di Pinocchio. Certo 60 milioni di persone non fanno un popolo, come 60 milioni di € non fanno un bel film, e 60 kg di carne non fanno un uomo, ma pare ci sia un’intera fottuta nazione in corsa su un binario morto che osanna Mario Monti.
Fiorello, Benigni, Monti, cambia un cazzo. I buoni, i bravi, gli intoccabili, i paladini del popolo bue e sì Pierino, tuo nonno se lo sta scopando, e no Pierino, lui non è svenuto.
Come si sbriga, Benigni, a mettersi dalla parte giusta, mentre la Curva del Male sta ancora lì con le Peroni calde a dire Franca Rame entra in un caffè: discografia dei Whitehouse. E Benigni si mette in salvo, a 400.000 a botta, molto più della mejo puttana con la fica di caviale che fa pissing di Dom Perignon. Sempre dalla parte giusta, così continuerà a saltare fuori, un po’ come il negro guastafeste dei film porno, quando stai guardando due scolarette che leggono Saffo e sbuca un negro dal nulla e ti ritrovi incredulo con una lumaca in mano.
La Curva del Male corre a sedersi pleonasticamente dalla parte del torto, perché tutti gli altri posti sono cessi dell’intercity in seconda classe, con un’aria malsana di candida e diarrea che vuole levarti l’aria fresca, e le rotaie fantasma svaniscono nella nebbia, nel buio, il treno deraglia e stasera andiamo tutti all’Inferno, questa è la consegna.
Seguite me, Pazuzu mi fa strada
(Puoi leggere anche):I "COMPAGNI" DI MERENDE. I dispensatori di civilta' capital-catto-comunisti sono scomparsi: http://ablocutio.blogspot.com/2014/11/i-compagni-di-merende.html

adlocutio romana arco di costantino